Fabbrica della Birra Perugia: 150 Anni di Storia, Anima Popolare e il Futuro della Filiera Italiana

Birra Perugia: 150 Anni di Storia, Anima Popolare e il Futuro della Filiera Italiana

C’è un legame viscerale che unisce un bevitore alla sua prima birra artigianale. Quella che, anni fa, ha aperto le porte di un mondo fatto di luppoli, malti e passione. Per molti, a Perugia, quella birra è la Calibro 7. Ed è proprio con un bicchiere di questa iconica American Pale Ale che inizia il nostro viaggio all’interno di Fabbrica della Birra Perugia, un luogo dove la storia (quella con la S maiuscola) incontra la rivoluzione craft.

Oggi, in questo episodio speciale di Reclea Talk, non siamo solo in un birrificio, ma in un pezzo di storia italiana, accolti da Luana e Antonio, i volti e le menti che hanno riportato in vita un brand leggendario.

Incontrare la Storia: La Rinascita di un Brand

La storia di Birra Perugia non inizia nel 2013, anno della sua (ri)apertura moderna, ma nel lontano 1875. Come ci racconta Antonio, tutto nasce da un “inciampo” fortunato. Lui e Luana, entrambi con un solido background nel mondo del vino come sommelier, scoprono quasi per caso l’epopea dell’antico birrificio cittadino.

Una storia affascinante, che parte da un giovane birraio milanese, Ferdinando Sanico, arrivato in Umbria per rilevare il micro-impianto di una signora austriaca, la signora Zenbauer, che produceva birra a Perugia già nella prima metà dell’800.

Nel 2005, quando questa storia riemerge, il movimento artigianale italiano è in “fermentazione tumultuosa”. Luana e Antonio vedono l’opportunità: saldare quel passato glorioso con la visione contemporanea della birra artigianale. Il progetto prende forma e nel 2013 Fabbrica della Birra Perugia rinasce, pronta a celebrare, proprio quest’anno, i suoi 150 anni di vita.

Dal vino alla birra: l’importanza dell’anima “popolare”

Il passaggio dal calice di vino al boccale di birra non è stato un tradimento, ma un’evoluzione. “Sono due bevande storiche incredibili,” spiega Antonio, “ma il vino, soprattutto il fine wine, si è messo su un piedistallo. La birra mantiene, e noi vogliamo che mantenga, un’anima più popolare.”

Questa filosofia è il cuore pulsante del birrificio. La loro visione non è quella di creare birre-evento da centellinare, ma prodotti di altissima qualità che mantengano una facilità di beva (la “beva”, come la chiamano loro) e un legame con chi le beve.

Questo approccio si riflette nelle scelte produttive. Come ammette candidamente Luana, “Non abbiamo mai fatto una Blanche. Perché? Perché non è nelle nostre corde, non la beviamo.” È una dichiarazione di integrità quasi rivoluzionaria in un mercato che spesso insegue le mode: produrre solo ciò in cui si crede, ciò che si ama bere.

“Bevi per Ricordare”

Il loro motto, “Bevi per Ricordare”, racchiude questa filosofia. Non è un invito all’eccesso, ma l’esatto opposto. È un appello alla bevuta consapevole: bere per ricordare un momento piacevole, una storia, le persone con cui si condivide quel bicchiere, in netta contrapposizione all’idea di bere per dimenticare.

Innovazione senza tradimento: le birre icona

In un mondo craft ossessionato dal “nuovismo” (la ricerca spasmodica della novità), Birra Perugia si distingue per la sua coerenza.

“Ci piace migliorare le birre che abbiamo, forse più che farne di nuove,” sottolinea Antonio. La loro filosofia è quella dell’“innovazione senza tradimento”.

Due birre simboleggiano questo approccio:

  1. La Golden Ale: Una delle loro prime creazioni. Dopo oltre un decennio, con la sua etichetta semplice che riporta solo logo e stile, è ancora la loro birra più venduta. Un classico che ha resistito alle mode.
  2. La Calibro 7: Nata come birra “creativa”, è stata una delle prime a far conoscere al pubblico italiano luppoli allora sperimentali come Galaxy, Motueca e Citra. Oggi quei luppoli sono dei classici, ma la Calibro 7, pur evolvendosi e migliorando nella bevibilità, resta fedele a sé stessa e perfettamente riconoscibile.

Cacciatori di ingredienti: il legame con l’ Umbria

Birra Perugia è un birrificio profondamente territoriale. Luana e Antonio si definiscono “cacciatori di ingredienti, di storie, di legami”. Questo non è solo uno slogan, ma una pratica quotidiana.

  • Il Bacio (Barley Wine): Prodotto follemente dopo soli tre mesi dall’apertura, questo Barley Wine lega il birrificio a Torgiano, terra di grandi vini, utilizzando le botti di produttori locali e collaborando con i ceramisti di Deruta per il packaging.
  • La Chiascio: Una birra prodotta con i grani antichi di un mulino ad acqua situato a solo 1 km dal birrificio, che prende il nome dal fiume che lo attraversa.

Questo legame con il territorio è rafforzato dalla presenza a Perugia del CERB (Centro Eccellenza Ricerca sulla Birra), un’istituzione fondamentale per lo studio dei malti e dei cereali italiani.

Le sfide del mestiere: costi e sostenibilità

Il mestiere del birraio artigianale non è solo romanticismo. La domanda della “scatola” dell’intervistatore va dritta al punto: come avete affrontato l’aumento spropositato dei costi delle materie prime e dell’energia?

La risposta di Antonio e Luana è spiazzante e coraggiosa.

“Ci siamo tolti di bocca un pezzo di pane,” dice Antonio. “Abbiamo deciso, ragionandoci tanto, di non far pagare al cliente questi rincari. Non abbiamo ritoccato i listini negli ultimi 7-8 anni.”

Una scelta imprenditoriale forte, quasi un atto di resistenza, fatta per non tradire quell’anima “popolare” della birra, per non trasformarla in un bene di lusso.

A questa sostenibilità economica, si affianca quella ambientale. Il birrificio sta investendo in pannelli solari e in un generatore di azoto per ridurre il consumo di CO2, ottimizzando i processi produttivi per sprecare il meno possibile.

Il futuro è nel malto: Progetto Ereclea

Questa profonda attenzione alla filiera e al territorio trova la sua sintesi perfetta nel progetto Reclea. Birra Perugia, che da sempre utilizza i malti Weyermann come base solida, è entusiasta di sperimentare con il malto italiano Eraclea.

“Cosa ci aspettiamo? Un carattere diverso,” spiega Luana. L’idea è di creare una birra, probabilmente una Blond Ale “semplice ma non semplice”, pensata appositamente per esaltare le peculiarità del malto, legandola ancora una volta al territorio umbro.

Il messaggio che vogliono mettere in bottiglia è chiaro e orgoglioso: “Anche in Italia si può fare la buona birra con le materie prime italiane,” conclude Luana. “Siamo tra i migliori produttori al mondo, ci guardano. Il passo successivo è far conoscere i prodotti italiani. Noi lo sappiamo fare bene.”

Eternal City Brewing: Dove la Birra Parla Romano nel Cuore della Capitale

Eternal City Brewing: Dove la Birra Parla Romano nel Cuore della Capitale

Quando si pensa a Roma, la mente corre al Colosseo, ai gladiatori, a quella “Grande Bellezza” intrisa di storia e di un caos quasi poetico. Pochi, però, sanno che tra le rovine millenarie e i sampietrini si nasconde una delle culle più fertili della birra artigianale italiana. E per scoprirla, bisogna avventurarsi appena fuori dal Grande Raccordo Anulare, dove sorge Eternal City Brewing (ECB), un’istituzione, uno dei primi birrifici artigianali a lasciare un’impronta indelebile sul mercato romano.

Qui, in un ex falegnameria trasformata in tempio della birra, abbiamo incontrato Maurizio Graziani, meglio conosciuto come “Er Pomata”, l’anima e il cuore pulsante di ECB. Appena messo piede nella taproom, si viene travolti da un’energia contagiosa: un “caos positivo” fatto di risate, brindisi e un’accoglienza che solo Roma sa dare. In pochi minuti ci si ritrova con una pinta in mano, a chiacchierare con sconosciuti che diventano subito amici. Questa è l’essenza di Eternal City Brewing, un luogo dove la birra è aggregazione, goliardia e crescita.

Dalle Cadute in Motorino alle Cotte in Casa: la Genesi di un Birraio

“Ma perché ‘Er Pomata’?” è la prima, inevitabile domanda. Maurizio sorride, quasi schermendosi: “È una storia lunga, da bambino. Cadevo spesso dal motorino e mi ‘spalmavo’ sulla spalla”. Un soprannome nato sull’asfalto, che racconta una storia personale, autentica, proprio come le sue birre. Perché a Roma i soprannomi non te li scegli, te li cuciono addosso, e diventano parte di te.

La passione di Maurizio per la birra nasce, come per tanti, tra le mura di casa. Sedici anni fa, ispirato dalle serate passate in pub storici come il Trifolks, inizia a sperimentare con un kit da homebrewer. Le prime cotte, come da tradizione, finiscono nello scarico, ma la tenacia è più forte. “Ho tenuto botta,” racconta, “sono arrivato a fare 50 litri a casa con due pentole e due secchi bucherellati come filtro”. La sua prima creazione? Una birra in stile inglese, un amore mai tradito che ancora oggi definisce l’anima del birrificio. Gli amici diventano i primi clienti, ordinando “casse di birra” fatte in casa, rigorosamente all-grain.

Il passo successivo è la fondazione di una beer firm nel 2013, un momento cruciale in cui la scena craft romana stava iniziando a esplodere. Nonostante le difficoltà iniziali nel competere con birrifici già strutturati, la determinazione di Maurizio e dei suoi soci li porta, due anni dopo, a fare “il grande salto”: aprire il proprio impianto. Nasce così Eternal City Brewing, con una visione chiara fin dal primo giorno: “Abbiamo pensato subito alla taproom, ancora prima che all’impianto. Volevamo un punto di aggregazione sul territorio, per far caciara”.

Le Birre che raccontano Roma: dai Rioni alla “30 Sacchi”

Se c’è una cosa che definisce le birre di ECB è il loro profondo legame con la città. Ogni nome, ogni etichetta, è un omaggio a Roma: alla sua storia, ai suoi film, ai suoi modi di dire. Le birre di Eternal City “parlano romano”.

Un esempio perfetto è la “30 Sacchi”, una delle loro creazioni più iconiche. L’etichetta ritrae una signora ammiccante, a rappresentare le prostitute che un tempo chiedevano “30 sacchi” (30.000 lire) per una prestazione. Ma il nome ha un doppio significato: servirono esattamente 30 sacchi di malto per realizzare la prima doppia cotta. Un cerchio che si chiude, un aneddoto che diventa birra.

Questa filosofia si estende al progetto delle “Birre Rionali”, una serie di birre single hop e single malt (tecnicamente delle SMaSH) dedicate ai rioni di Roma. Un’idea tanto semplice quanto geniale, che funge da “scuola di birra” per il consumatore. “Assaggiando l’aroma di un singolo luppolo,” spiega Maurizio, “impari a riconoscerlo quando lo trovi in altre birre. È uno stile molto scolastico, e a me piace parecchio”.

Cuore inglese e anima artigiana

Nonostante il successo delle IPA e delle luppolate americane, il cuore di Maurizio batte per gli stili inglesi. Portare birre in cask, servite a pompa, poco carbonate e a temperature di cantina, è stata una sfida. “All’inizio era dura farle assaggiare,” ammette, “ma è un lavoro che un buon publican deve fare. Piano piano, siamo arrivati a far bere bitter, mild, English IPA”.

Questa dedizione alla qualità e all’educazione del cliente è ciò che definisce l’essere artigiano oggi a Roma. Per Maurizio, non si tratta di inseguire le mode o di puntare a una crescita smisurata. “Vogliamo rimanere nel nostro piccolo,” afferma con convinzione. “Mi piace che la gente entri, mi faccia domande, che ci sia un rapporto diretto. È questa la soddisfazione più grande: vedere 200 persone che bevono la tua birra, frutto dei tuoi studi, dei tuoi viaggi, del tuo sudore”.

Fare birra per lui è un atto emotivo, un modo per racchiudere esperienze, conoscenze e passione dentro un fermentatore. È alzare la saracinesca la mattina con il sorriso, anche quando ci sono 40 gradi e un bollitore a pieno regime. È creare un prodotto “vivo”, che unisce le persone e genera comunità.

Il Futuro è nella qualità e nell’accessibilità

Guardando al futuro, la preoccupazione principale di Maurizio riguarda le materie prime. “È importantissimo che il mercato rimanga accessibile e competitivo”, sottolinea. Il timore di un monopolio che limiti la libertà di scelta dei piccoli produttori e faccia lievitare i prezzi è concreto. “La birra è una bevanda popolare e deve rimanere tale. Le cose buone si pagano, ma non ci deve essere speculazione”.

Alla fine della nostra chiacchierata, una cosa è chiara: Eternal City Brewing non è solo un birrificio. È un’esperienza, un luogo dove la passione per la birra artigianale si fonde con l’anima verace di Roma. È la dimostrazione che, anche in una città eterna, si può continuare a scrivere nuove storie, una pinta alla volta. E come dicono da queste parti, “Daje!”.

Birrificio Elvo: Dove l’Acqua Pura e l’Anima Funk Creano Lager d’eccellenza

Elvo: Dove l’Acqua Pura e l’Anima Funk Creano Lagers d’Eccellenza

C’è un luogo in Italia dove l’acqua è così leggera e pura da essere imbottigliata e celebrata in tutta Europa. È la Valle dell’Elvo, un angolo di Piemonte che custodisce un tesoro naturale. Ed è proprio qui, a Graglia, che un ex ingegnere del suono, con un passato tra gli studi di registrazione e i pub inglesi, ha deciso di piantare le radici e dare vita a un progetto brassicolo unico. Signore e signori, benvenuti al Birrificio Elvo, dove la birra non è solo una bevanda, ma un’ espressione di storia, umanità e ritmo.

Abbiamo incontrato Josif, la mente e il cuore di Elvo, per farci raccontare la sua storia, una storia che intreccia musica, famiglia e una passione viscerale per le lager fatte senza compromessi.

Dalle Onde Sonore alle Onde della Birra: La Svolta di Josif

La vita di Josif non è sempre stata scandita dai tempi di ammostamento e fermentazione. Per anni, il suo mondo è stato fatto di mixer, frequenze e artisti. Come sound engineer, ha viaggiato per 8-10 mesi all’anno, costruendo studi di registrazione e vivendo la musica dall’altra parte del vetro. Un lavoro artistico, tecnico, che richiedeva precisione e sensibilità. Ma è stato un evento a cambiargli la vita: la nascita di sua figlia.

<<Quando è nata mia figlia>> ci racconta Josif <<ho deciso di trovare un piano B che mi permettesse di passare più tempo con la famiglia. Aprire un birrificio significa dire piantare le radici>>. La scelta è caduta sulla birra, una passione coltivata negli anni, soprattutto durante il suo soggiorno in Inghilterra. “Ho vissuto il pub inglese con tutte le sue cose più belle: la convivialità, il clima che c’è all’interno. Ho capito che questa bevanda avesse non solo qualità organolettiche, ma anche qualità sociali”.

A questa esperienza si sono unite le sue radici sul Lago di Garda, dove fin da giovane ha apprezzato il mondo delle lager tedesche. L’intuizione geniale è stata unire questi mondi e sfruttare la risorsa più preziosa del luogo: l’acqua. “La mia intuizione è stata quella di dire: ‘Proviamo a fare delle lager fatte bene, senza compromessi, con quest’acqua che è l’ideale per fare questo tipo di stili birrari'”. Nel 2013, il progetto Elvo era nato.

La Filosofia Elvo: Umanità, Pulizia e Ritmo

Una delle cose che più colpisce di Josif è il suo approccio umano alla produzione. Non proviene dal mondo dell’homebrewing; si è formato subito come professionista, ma il suo mentore gli ha insegnato qualcosa di fondamentale: “Mi ha insegnato, più che a livello tecnico, a livello umano, come bisogna affrontare questo lavoro”.

Per Josif, la birra è come la musica. “Nella musica si trasmette quello che è il valore umano dell’artista. E nella birra, secondo me, è la stessa identica cosa. Si trasmette il valore umano delle persone che la creano”. Questo pensiero è la chiave di lettura per capire ogni singola birra che esce dal birrificio.

Abbiamo chiesto a Josif di descrivere il suo stile in tre parole. La sua risposta è stata immediata e precisa: “Pulito, beverino e classico”. Questo è Elvo. Birre che non urlano, ma che conquistano con l’eleganza, l’equilibrio e una qualità indiscutibile, garantita anche dalla collaborazione storica con Weyermann e dal progetto Eraclea, il malto 100% italiano che Josif utilizza con maestria, tanto da rendere alcune sue birre, come la Helles, prodotte interamente con questo cereale.

Le Birre Iconiche: Un Viaggio tra Pils, Schwarz e Doppelbock

Se volete conoscere l’anima di Elvo, ci sono due birre da cui non potete prescindere.

  • La Pils: “La nostra birra più iconica,” afferma Josif. “È la birra che valorizza di più il nostro terroir, la nostra acqua. Difficilmente con un’acqua diversa si riuscirebbe a fare un prodotto così fine, così elegante”.
  • La Schwarz: Definitiva da lui come la “nostra Pils nera”, è una birra scura che mantiene la stessa incredibile bevibilità della sorella chiara, un piccolo capolavoro di equilibrio tra le note tostate e la freschezza.

Ma è stata un’altra birra a lanciare Elvo nell’olimpo dei birrifici italiani: la Doppelbock. Nata come birra di Natale, dopo soli sei mesi dall’apertura ha vinto una medaglia d’oro a Birra dell’Anno. “Questo oro ci ha permesso di dire a tutti: ‘Ecco, è arrivato Elvo’. Ci siamo presentati bene”.

Se Elvo Fosse una Band? Suonerebbe Funk!

Il passato di Josif non è un semplice aneddoto, ma un elemento che permea l’identità del birrificio. Quando gli abbiamo chiesto che musica suonerebbe Elvo, i suoi occhi si sono illuminati. “Sono nero dentro,” ci confessa, “un grande amante del jazz, del funk, del blues”. Per lui, il periodo d’oro della musica va dal 1960 al 1976.

E se dovesse scegliere un artista? “Sly and the Family Stone”, un tributo a uno dei suoi idoli. “Elvo come sottofondo musicale ha sempre un bel fanchettone che viaggia con una bella chitarra sincopata”. Non è un caso che alcune delle sue creazioni più originali portino nomi di band e musicisti a lui cari, come la Mandril o la Herby, dedicata al grande Herbie Hancock.

Il Futuro è Agricolo e Collaborativo

Oggi, dopo quasi 12 anni di attività, Elvo non si ferma. Il prossimo passo è diventare un birrificio agricolo, producendo in proprio non solo il malto, grazie alla collaborazione con il progetto Eraclea, ma anche il luppolo di montagna. Un ritorno alla terra per chiudere il cerchio, per controllare ogni singolo anello della catena produttiva.

Josif ci lascia con una riflessione importante sul mondo della birra artigianale in Italia: la necessità di un contatto diretto con il consumatore per educarlo alla qualità. “Purtroppo birra artigianale non è sinonimo di birra di qualità. La birra si divide in due grosse categorie: la birra buona e quella cattiva”. Attraverso i suoi locali, le degustazioni e le visite in birrificio, Josif combatte ogni giorno per far crescere la consapevolezza.

La sua ricetta è semplice: passione, competenza e un’incrollabile fede nel valore umano. Perché, come dice lui, “la vita è troppo breve per bere male”. E dopo aver assaggiato le sue birre, non potremmo essere più d’accordo.

Alder: La Birra come Progetto di Famiglia, tra Precisione Chirurgica e Passione Pura

Alder: La Birra come Progetto di Famiglia, tra Precisione Chirurgica e Passione Pura

C’è un’area, a nord di Milano, dove la concentrazione di talento brassicolo è quasi inspiegabile. È la Brianza, e più precisamente Seregno, una cittadina dove, come si dice in gergo, “non puoi fare un chilometro senza inciampare in un birrificio”. In questo cuore pulsante della birra artigianale italiana, sorge Alder, il progetto di Marco Valeriani, un nome che ogni appassionato conosce e rispetta. Riconosciuto per una tecnicità quasi maniacale e una qualità cristallina, Marco è uno di quei birrai che non lascia nulla al caso. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare la sua storia, la sua filosofia e il suo contributo per i 10 anni del Progetto Eraclea.

Le Origini di un Maestro: da Passione Universitaria a Birraio dell’Anno

La passione di Marco non nasce per caso, ma è un percorso lungo e meticoloso, iniziato quasi 25 anni fa.

“È stato un percorso molto lungo, iniziato il primo anno di università nel 2000, dove assaggiai per la prima volta una birra artigianale fatta da un compagno di corso. Da lì è nato tutto: ho iniziato a fare la birra in casa, fare corsi di specializzazione, fino alla tesi in un birrificio.”

Un cammino che lo ha portato a farsi le ossa in alcuni dei templi della birra artigianale italiana, come Menaresta e Hammer, dove il suo talento è stato consacrato con ben due titoli di Birraio dell’Anno. Un bagaglio di esperienze che ha inevitabilmente plasmato il suo approccio, fino alla decisione più importante: creare qualcosa di proprio.

La Nascita di Alder: “E se aprissimo il nostro?”

L’idea di Alder nasce quasi per gioco, durante una chiacchierata in famiglia. “Un giorno a Natale è venuta lì la battuta: ‘Ma perché non apriamo il nostro, visto che sembra che ovunque vada la birra va?'”. Da quella battuta è nato un progetto concreto, un birrificio a gestione familiare dove Marco è il braccio operativo e l’anima produttiva. Una scelta coraggiosa, quella di mettersi in proprio, spinta dalla voglia di avere il controllo totale sul proprio prodotto e di poter finalmente creare la birra che lui, per primo, ama bere.

Aprire un birrificio alla fine del 2019 è stata una scommessa vinta contro ogni previsione. Pochi mesi dopo, il lockdown ha stravolto i piani. Il progetto iniziale, molto focalizzato sulla taproom in stile americano, ha dovuto evolversi.

“Il Covid ci ha portato a fare altre scelte. L’unico modo per vendere era mettere in lattina. La fortuna è stata comprare la macchina per riempire le lattine pochi mesi prima.”

Da quella necessità è nata una delle colonne portanti di Alder: la distribuzione diretta e refrigerata. Una scelta impegnativa, ma che garantisce il massimo controllo sulla qualità. “Se tutta la filiera non segue la catena del freddo, la qualità del prodotto non sarà la stessa. Il nostro lavoro è dare in mano al cliente finale il prodotto al massimo della qualità, che sia un appassionato o meno.”

Il Progetto Eraclea: Sperimentare e ancora sperimentare

L’adesione di Marco ai festeggiamenti per i 10 anni del Progetto Eraclea è la ciliegina sulla torta. Il progetto prevede l’utilizzo di uno speciale malto, l’Eraclea appunto, coltivato in Italia e maltato da Weyermann, una malteria a cui Marco è legato da sempre.

Per l’occasione, Marco ha deciso di creare una birra che metta al centro proprio questo nuovo ingrediente: “Faremo una birra utilizzando al 100% questo malto, una Helles in stile bavarese. Useremo un sistema semplice di ammostamento in decozione, un solo luppolo (Spalter Select) e un lievito bavarese. La Helles è una birra dove il luppolo accompagna le note mielose e dolci del malto, e dovrebbe essere lo stile perfetto per dare risalto a questa materia prima.”

Non vediamo l’ora di assaggiarla.

Visione Futura: Qualità, non Quantità

E per il futuro? Nessun piano di espansione faraonica. L’obiettivo di Alder è rimanere un birrificio “piccolo”, dove i lotti di produzione contenuti garantiscono una rotazione veloce e, soprattutto, una birra sempre fresca. Perché, alla fine, è questo il segreto di Marco: un controllo totale sulla qualità, dalla progettazione della ricetta fino al bicchiere del consumatore finale. Un progetto di famiglia che, sorso dopo sorso, è diventato un punto di riferimento per tutta l’Italia.

Birrificio War: Andare Controcorrente è la Rotta per il Futuro

Birrificio War: Andare Controcorrente è la Rotta per il Futuro

In un mercato in continua e talvolta turbolenta evoluzione come quello della birra artigianale italiana, ci sono realtà che non solo resistono, ma scelgono di accelerare proprio quando la strada si fa più ripida. Siamo andati a Cassina de’ Pecchi, alle porte di Milano, per visitare il Birrificio War, un nome che per molti appassionati è sinonimo di qualità, innovazione e comunicazione tagliente.

Ad accoglierci in una splendida cascina del 1700, cuore storico e oggi fucina creativa del birrificio, ci sono Francesco, uno dei fondatori, e Lorenzo, il mastro birraio. Quella che segue non è solo un’intervista, ma un’immersione nella filosofia di un birrificio che ha deciso di scrivere le proprie regole.

Crescere Durante la Tempesta: la Scommessa Controcorrente

La storia di War inizia nel 2017, con un’idea quasi “semplice”: produrre qualche birra per l’agriturismo di famiglia. Un progetto che, per fortuna, è cresciuto in fretta. La svolta più audace, però, arriva nel pieno della pandemia. Mentre molti rallentavano, War ha fatto l’esatto opposto.

“L’idea di espanderci era nata prima del Covid, non potevamo più fermarci,” spiega Francesco. “Oggi le difficoltà maggiori ce le hanno i birrifici tanto piccoli. Noi dovevamo crescere”. E così, hanno costruito un nuovo capannone nel 2022 e, mossa che si è rivelata profetica, hanno investito in una lattinatrice quando il mercato era fermo. “Chiamai Cime Careddu, pensavano fosse uno scherzo,” racconta sorridendo. “Ma sapevo che con l’esplosione dell’e-commerce, la lattina poteva essere una mossa vincente. E così è stato”.

Questa capacità di leggere il mercato e di investire con coraggio, anche contro la tendenza generale, è forse il primo, grande tratto distintivo di War.

La Mente e il Braccio: Tecnica e Ricerca

A guidare la produzione c’è Lorenzo, un birraio dal curriculum impressionante: dagli inizi come homebrewer a 14 anni, passando per l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e importanti esperienze a Londra (Red Church/Beavertown), fino al ritorno in Italia da Canediguerra e Impavida. Un bagaglio di conoscenze che ha portato a War una visione chiara e precisa.

“Quando ho iniziato mi hanno sempre insegnato che i birrai bravi sono quelli che richiamano l’equilibrio,” afferma Lorenzo. “Non amo gli eccessi nelle mie birre”. Sebbene le luppolate moderne siano un loro punto di forza, ogni ricetta è studiata per avere un carattere unico, con tecniche di luppolatura e fermentazione sempre diverse.

La vera svolta, però, è l’approccio scientifico. Alla domanda se si sentano più “tecnici” o “romantici”, la risposta è unanime: la base è la tecnica. “Oggi se apri un birrificio, la seconda cosa su cui devi puntare dopo l’impianto è il laboratorio,” sottolinea Francesco. “È lì che capisci davvero cosa stai facendo”. Questo approccio permette a War di non lasciare nulla al caso, dalla sperimentazione su piccoli campioni al controllo qualità sul prodotto finito.

Oltre la Birra: Comunicare con Stile

In un mercato affollato, un prodotto eccellente non basta più. War lo ha capito perfettamente, costruendo un’identità visiva e comunicativa forte e riconoscibile. Dal minimalismo delle etichette ai nomi iconici come Tuttofatto, la sua versione più leggera Mezzo Fatto e l’analcolica Faccio Finta, tutto è pensato per un pubblico preciso, quello tra i 20 e i 40 anni.

“Partiamo sempre dal presupposto che dobbiamo capire chi è il nostro pubblico di riferimento,” spiega Francesco. “Bisogna dargli un’emozione, un qualcosa in più”. Questa filosofia si traduce anche negli allestimenti fieristici, diventati un vero e proprio cult: dal museo per sottolineare la bellezza delle birre, alla pescheria per comunicare la catena del freddo, fino alla chiesa per celebrare la sacralità del prodotto. Un marketing intelligente che posiziona il birrificio non come un semplice produttore, ma come un brand culturale.

Il Futuro si Chiama “Coma” e “Progetto Eraclea”

E il futuro? A giudicare dai progetti in cantiere, sarà ancora una volta all’insegna dell’innovazione.

Coma: Il Laboratorio Creativo in Bottaia

Siamo seduti proprio qui, in quella che diventerà la bottaia “Coma”. Un nome che è l’acronimo di due nomi (uno è Cecco, l’altro un mistero) e un’intenzione chiara: creare uno spazio senza etichette. “Non vogliamo essere quelli che fanno solo birre acide in stile belga,” precisa Lorenzo. “Sarà un laboratorio creativo per fare quello che ci viene in testa, con un approccio più vicino al mondo farmhouse americano moderno”. La prima birra? Una Cherry Portobello, la loro London Porter rivisitata con l’aggiunta della Ciliegia Moretta, presidio Slow Food.

Progetto Eraclea: Dieci Birrifici, un Malto, una Kölsch

War è anche uno dei 10 birrifici protagonisti del Progetto Eraclea, un’iniziativa che celebra l’omonimo malto base. Ogni birrificio lo interpreterà a modo suo. La scelta di Lorenzo è ricaduta su una sua grande passione: una Kölsch, la birra tipica di Colonia. Un omaggio a uno stile che ama per la sua eleganza e semplicità, che promette di esaltare le caratteristiche della materia prima.

Lasciamo il Birrificio War con una sensazione chiara: il futuro della birra artigianale italiana passa da qui. Passa da un’evoluzione che non rinnega la passione, ma la affianca a tecnica, professionalità, visione di mercato e una comunicazione matura. War non segue l’hype, lo crea. E lo fa andando controcorrente, convinti che la propria identità sia l’unica rotta possibile per navigare un mercato complesso e affascinante. Non vediamo l’ora di assaggiare i frutti dei loro nuovi progetti.

Birrificio Italiano: A Tu per Tu con Agostino Arioli, pionere della birra artigianale italiana

Birrificio Italiano: A Tu per Tu con Agostino Arioli, pionere della birra artigianale italiana

Un viaggio nel cuore della birra artigianale italiana, dove tradizione, innovazione e un pizzico di “follia” creativa hanno dato vita a uno stile riconosciuto in tutto il mondo. In occasione dei 10 anni del Progetto Eraclea, incontriamo il mastro birraio che ha cambiato le regole del gioco.

C’è un’ energia palpabile quando si varca la soglia del Birrificio Italiano. Non è solo il profumo di malto e luppolo che riempie l’aria, ma la sensazione di trovarsi in un luogo dove la birra è più di una semplice bevanda: è cultura, passione e, soprattutto, un’espressione di identità. Per celebrare i 10 anni del progetto Eraclea, il nostro tour tra le eccellenze brassicole italiane non poteva che fare tappa qui, a Lurago Marinone, per incontrare Agostino Arioli, il fondatore.

Agostino è una figura quasi mitologica nel panorama della birra artigianale. Con il suo Birrificio Italiano, aperto il 3 aprile 1996, è stato il primo microbirrificio artigianale della Lombardia e uno dei padri fondatori di un movimento che ha rivoluzionato il modo di bere nel nostro paese. “Quello che volevo era lavorare su altre tradizioni mettendoci del mio,” ci racconta con un sorriso. “Noi italiani abbiamo una sapienza nel miscelare i gusti che pochi altri hanno. Volevo portare la sensibilità di noi italiani all’interno del bicchiere.”

 

La Nascita di un’Icona: La Tipopils

Parlando di icone, è impossibile non menzionare la Tipopils. Una birra che non solo è il fiore all’occhiello del birrificio, ma che ha letteralmente creato uno stile, l’“Italian Style Pilsner”, riconosciuto ufficialmente dal prestigioso Beer Judge Certification Program (BJCP) nel 2024. Ma come nasce un’intuizione del genere?

“Non è che un giorno ti svegli e decidi di inventare uno stile,” spiega Agostino. La genesi è un affascinante incrocio tra ispirazione e sperimentazione. Partendo da una base Pils tedesca, Agostino ha un’illuminazione dopo aver scoperto il metodo inglese del dry-hopping (la luppolatura a freddo) nei cask. “Considerato che sono innamorato del luppolo, forse più che della birra, ho detto: ‘voglio farlo nel mio birrificio’.”

Una scelta audace, quasi eretica per l’epoca. In Germania, il Reinheitsgebot (l’editto della purezza) vietava il dry-hopping, e in Italia nessuno osava tanto. Il risultato? Una Pils con un’esplosione aromatica unica, un equilibrio perfetto tra la base maltata e la freschezza vibrante del luppolo. La Tipopils è nata così, da un’intuizione, diventando un faro per birrai in tutto il mondo e dimostrando che l’innovazione, quando ben ponderata, può creare nuove tradizioni.

 

 

Filosofia Brassicola: Tra Scienza e Romanticismo

Chi è Agostino Arioli come birraio? Un tecnico rigoroso o un sognatore romantico? La risposta, come spesso accade, sta nel mezzo. Con una laurea in Agraria, una tesi sulla stabilità colloidale della birra e un’esperienza nel controllo qualità in grandi aziende, il suo background scientifico è solidissimo. “Ho disegnato io il mio primo impianto, come anche il secondo e il terzo,” rivela.

Eppure, Agostino rifiuta la tecnologia fine a se stessa. Niente centrifughe, che rischiano di standardizzare eccessivamente il prodotto. Rifiuta persino l’idea che un’intelligenza artificiale possa creare la ricetta perfetta. “Ho amato e continuo ad amare la birra artigianale per la parte creativa, per l’innovazione. Il supporto dell’IA rischia di portare tutte le birre, magari mediamente più buone, ma tutte nella stessa direzione.”

La sua è una “bottega rinascimentale”, un’officina alchemica dove la mano del birraio è ancora fondamentale. L’impianto produttivo, che lui stesso definisce un “Frankenstein” di pezzi di epoche diverse, è volutamente manuale. La vera tecnologia su cui investe è un’altra: la degustazione. “Continuiamo a sviluppare lo strumento più sottile e in linea col lavoro che faccio: il palato. Facciamo un sacco di degustazioni, è il nostro strumento principale.

 

Cavalcare le Tendenze? No, Grazie.

In un mercato mosso dall’hype, dalle mode passeggere come le onnipresenti IPA super luppolate o le birre ai succhi di frutta, come fa il Birrificio Italiano a rimanere sempre sulla cresta dell’onda senza snaturarsi?

“Non ho mai cercato di seguire le birre mainstream,” afferma con decisione Agostino. “Credo che una bottega artigiana come la mia debba dare il suo marchio.” Questo non significa immobilismo. Il birrificio sperimenta costantemente, producendo birre acide in barrique (la linea Clan/Barric), birre a metodo classico e innumerevoli versioni di Pils.

La chiave è la riconoscibilità e la continuità dei suoi prodotti di punta. “Diamo anche un rifugio sicuro,” spiega. La Tipopils, ad esempio, è in continua evoluzione, ma i cambiamenti sono graduali, quasi impercettibili per il consumatore, distribuiti su orizzonti di tre anni. L’obiettivo non è inseguire il mercato, ma educarlo, fidelizzandolo a un gusto autentico e coerente.

 

Il Futuro della Birra Artigianale: Una Nicchia d’Eccellenza

La domanda finale è inevitabile: con un mercato in contrazione e più chiusure che aperture, quale futuro attende i birrifici artigianali italiani? La visione di Agostino è lucida e controcorrente.

“La mia idea è che invece di cercare di invadere il mercato, avremmo dovuto capire che i nostri sono e devono restare prodotti di nicchia.” La crescita a tutti i costi, secondo lui, porta solo allo snaturamento dell’essenza della birra artigianale. La vera forza risiede nella specificità, nel legame col territorio – come l’uso dell’acqua locale non trattata – e nel carattere unico che ogni artigiano infonde nel suo prodotto.

“Noi siamo botteghe rinascimentali dove qualcuno insegna il suo modo di approcciare un prodotto. Dobbiamo tenere fede alle nostre sensazioni, ai nostri gusti.”

Mentre lo salutiamo, con il suo nuovo sticker di Progetto Eraclea pronto per essere attaccato in sala cotta, ci resta la sensazione di aver parlato non solo con un grande birraio, ma con un vero e proprio filosofo della birra. Un uomo che ci ha ricordato una lezione fondamentale: la birra artigianale migliore non è quella che piace a tutti, ma quella che racconta una storia. E la storia del Birrificio Italiano è una delle più belle che ci siano.

 

Cà del Brado: L’Anima Selvaggia della Birra Italiana Sposa il Malto Eraclea – Viaggio nel Regno delle Fermentazioni Spontanee

Cà del Brado: L’Anima Selvaggia della Birra Italiana Sposa il Malto Eraclea – Viaggio nel Regno delle Fermentazioni Spontanee

Un tuffo nel mondo affascinante di Cà del Brado, dove Luca e il suo team orchestrano birre a fermentazione spontanea e mista. Abbiamo esplorato la loro cantina, il cuore pulsante del birrificio, e scoperto come intendono interpretare il malto Eraclea in questo contesto unico, per il progetto “Eraclea Talk”.

Amici cultori del luppolo e, in questo caso, soprattutto del lievito! Oggi il nostro viaggio ci porta in un luogo davvero unico nel panorama brassicolo italiano: Cà del Brado. Qui, Luca e i suoi collaboratori non si limitano a “fare birra”, ma orchestrano una vera e propria sinfonia di fermentazioni spontanee e miste. Un micro-universo affascinante che abbiamo esplorato per voi.

Appena varcata la soglia, siamo stati accolti mentre erano in piena attività, filtrando il mosto per una American Wheat con frumento locale delle colline di Monghidoro, la “Serna”, un omaggio al territorio. Ma è addentrandoci nel cuore del birrificio, la mitica “bottaia”, che si svela la sua vera, selvaggia essenza.

Il Cuore Selvaggio di Cà del Brado: la Bottaia e il “Timbro di Cantina”

 

“Il 90% della nostra produzione è a fermentazione mista o spontanea,” ci spiega Luca con la calma di chi padroneggia elementi indomiti. Questo significa che, a differenza delle birre classiche, qui non si inocula un singolo lievito selezionato. “Lasciamo che l’ambiente, e soprattutto la nostra bottaia e la nostra cantina, vadano a creare una flora di lieviti e batteri che poi fermentano e producono la caratteristica organolettica tipica delle nostre produzioni.” Un approccio che li distingue nettamente, pur con le dovute differenze rispetto al Lambic, geograficamente protetto. “Siamo molto più liberi noi,” ammette Luca, “non facciamo un singolo prodotto, possiamo variare. È il bello dell’artigianalità italiana, non abbiamo troppi preconcetti.”

Il cuore pulsante di Cà del Brado è, senza dubbio, la bottaia. “È qui che il progetto è partito nel 2016,” racconta Luca. Inizialmente senza un impianto di produzione proprio (acquistato nel 2020), si concentravano sull’affinamento. “L’affinamento della birra per lungo tempo prende quelle note caratteristiche che poi danno un certo tipo di carattere unico al nostro birrificio.” Un “timbro di cantina”, come lo definisce, con quelle note “un po’ di sella di cavallo” che gli intenditori sanno riconoscere e che rendono ogni loro creazione inconfondibile.

 

Maestri dei Microbi: Lieviti Indigeni, Brett Propagati e Collaborazioni Universitarie

 

Ma come avviene questa magia liquida? La prima fermentazione si svolge spesso in tank tenuti aperti, permettendo ai lieviti e batteri naturalmente presenti in cantina di avviare il processo. A volte, per guidare l’inoculo, “prendiamo una parte della posa delle botti, il sedimento, e lo usiamo come si fa con il lievito madre per il pane.” Un sapere antico applicato alla birra.

Ma non è solo attesa passiva. Per circa il 20% della produzione, come per le birre “Piè Veloce”, propagano internamente specifici ceppi di Brettanomyces, quei lieviti “selvaggi” capaci di donare complessità uniche. E la ricerca non si ferma qui: fiore all’occhiello è la collaborazione con l’Università di Modena e Reggio Emilia. “Hanno campionato le nostre botti,” spiega Luca, “individuato la popolazione di lieviti e batteri, e selezionato dei Saccharomyces utili. Uno in particolare, che chiamiamo BNY, lo abbiamo messo nella banca lieviti dell’università e ce lo facciamo propagare.” Non a caso, la maglietta di Luca recita “Yeast is the new Hops” – una vera e propria dichiarazione d’intenti!

 

Eraclea Incontra il Lato Selvaggio: Un Matrimonio di Terroir e Complessità

 

E come si inserisce il malto Eraclea in questa filosofia così radicata nel genius loci e nel tempo? “Cerchiamo sempre di utilizzare prodotti quanto più possibile del territorio,” afferma Luca. L’adesione al progetto nasce dalla volontà di usare “un prodotto di qualità, perché il malto d’orzo deve essere di qualità per produrre birre in questo particolare ambiente.”

Per birre che maturano a lungo, dove gli zuccheri vengono completamente metabolizzati dai lieviti e batteri, “un malto con un carattere un pochettino più pronunciato, un po’ più rustico, con una dolcezza un pochettino più percepibile è molto utile per dare sensazioni in bocca più piene.” Luca è convinto che questa dolcezza possa bilanciare l’amaro fenolico tipico del Brettanomyces, creando birre secche ma dotate di una loro morbidezza e armonia, nello stile delle “gently sour” che tanto piacciono al palato italiano.

Il progetto per Eraclea è ambizioso e affascinante: una birra ispirata all’Iris di Cantillon, quindi 100% malto d’orzo, senza frumento. “Vorremmo che il protagonista sia lui, il malto Eraclea, lavorando molto sulla freschezza e su questo carattere. Ovviamente, la caratteristica di maturazione e fermentazione in cantina non la decidiamo noi, la decide la cantina. È anche il bello di questa cosa!”

Coltivare una Nicchia: Comunicazione, Mercato e la Filosofia del “Lasciar Fare”

 

Produrre birre così uniche richiede anche una strategia di comunicazione e vendita altrettanto particolare. Di fronte alla concorrenza industriale, Cà del Brado punta sulla differenziazione e sulla costruzione di “relazioni profonde” con la clientela, attraverso un club di circa quaranta “ambasciatori” (pub e locali di fiducia) con cui la comunicazione è diretta. “È importante che chi vende il tuo prodotto sappia chi sei, che non sia un produttore impersonale.”

Costruire un mercato per queste birre è una sfida che Luca e soci affrontano con passione. “C’è un mercato abbastanza consolidato di bevitori che bevono birre acide,” spiega Luca, “molto curioso e fidelizzato, anche a livello europeo.” Ma per il resto del mercato, “queste sono birre che devono essere spiegate”. Da qui l’importanza di eventi in birrificio e di una comunicazione approfondita, per avvicinare il consumatore a gusti complessi e acquisiti.

E l’approccio produttivo, romantico o tecnico? Da un inizio più tecnico, Luca confessa un’evoluzione: “Abbiamo imparato ad accettare certe cose, a non volerle per forza piegare alla nostra volontà, e ad agire molto più d’istinto. Oggi seguiamo molto di più l’istinto, lasciamo fare ai lieviti… Abbiamo capito che il lievito deve vivere libero. Del resto, c’è un motivo se si chiama Wild Yeast!” Un approccio che richiede esperienza, sensibilità e un profondo rispetto per i ritmi della natura.

 

Un Futuro Fermentato con Gusto

 

L’incontro con Luca e la scoperta di Cà del Brado è un’immersione in un mondo dove la birra è viva, in continua evoluzione, frutto di un dialogo costante tra uomo, natura e tempo. La loro partecipazione al progetto “Eraclea Talk” promette di regalarci un’interpretazione unica di questo malto italiano, filtrata attraverso la sensibilità e l’impronta inconfondibile della loro cantina. Un birrificio che non si limita a seguire le mode, ma traccia con coraggio la propria, selvaggia strada nel panorama artigianale. Non vediamo l’ora di assaggiare il risultato di questa nuova, entusiasmante fermentazione!

 

 

Liquida: Anima Dinamica e Radici nel Territorio – Brindisi ai 10 Anni del Progetto Eraclea

Liquida: Anima Dinamica e Radici nel Territorio – Brindisi ai 10 Anni del Progetto Eraclea

Direttamente dal cuore pulsante del birrificio Liquida, un’intervista esclusiva con il birraio e co-fondatore Luca, per celebrare il decennale del Progetto Eraclea e scoprire la filosofia di un’azienda che fa della dinamicità e della sostenibilità la sua bandiera.

Oggi, amici appassionati di birra, vi accompagno in un viaggio entusiasmante nel mondo di Liquida, un nome che è già una dichiarazione d’intenti nel panorama brassicolo italiano. In occasione del decimo anniversario del “Progetto Eraclea”, abbiamo avuto il piacere di sederci (virtualmente, s’intende!) con Luca, birraio e co-fondatore di Liquida. Un’occasione unica per farci raccontare non solo la sua avventura imprenditoriale, ma anche la visione che guida questo birrificio e il suo legame speciale con il territorio e le materie prime di qualità.

Dalla Cucina di Casa al Sogno Concretizzato: Il Percorso di Luca

La passione di Luca per la birra nasce in un contesto quasi romantico, come spesso accade ai veri artigiani. “La mia esperienza nel settore birra nasce nella cucina del ristorante dei miei genitori,” ci confida Luca, “dove nel giorno di chiusura facevamo i nostri esperimenti, provavamo a fare birra. Avevo all’incirca 22 anni.” Un percorso fatto di homebrewing, durato 3-4 anni, che ha gettato le fondamenta per quello che sarebbe venuto dopo.

Da lì, l’evoluzione è stata costante: una beer firm avviata con la moglie Eleonora, un’esperienza formativa di circa tre anni presso il birrificio Altotevere, e infine il ritorno “verso casa”. È qui che Liquida prende forma, incarnando “veramente la nostra idea di birrificio, sia da un punto di vista produttivo che delle materie prime, che poi anche della commercializzazione del prodotto.”

“Liquida”: Un Nome, Una Filosofia

Il nome stesso, Liquida, racchiude l’essenza del birrificio: “Nasce anche il nome Liquida proprio per la dinamicità, per la capacità di adattamento dell’azienda un pochino a quello che è il panorama brassicolo nazionale,” spiega Luca. Una filosofia che si traduce in una continua crescita e nella volontà di darsi un’identità forte, credendo in ciò che si fa “senza metterci dei paletti oppure porci dei limiti”.

Questa libertà creativa è fondamentale, specialmente per un prodotto come la birra artigianale, che, come sottolinea Luca, “dà la possibilità di esprimere creatività con X variabili che sono le materie prime”. L’obiettivo? Creare una miriade di prodotti che diano piacere al birraio e, naturalmente, al consumatore, sempre cercando un equilibrio con le richieste del mercato, ma “senza denaturarti, mantenendo un’identità forte”.

Quando gli chiediamo del suo stile produttivo, se più “romantico” o tecnologico, Luca sorride: “Entrambe. Il romanticismo rimane sempre perché le birre bisogna un po’ sentirle.” Pur rispettando gli stili, che considera un punto di riferimento, l’importante è che la birra sia “un prodotto identitario che piace a noi e che rispecchia quello che è l’azienda e, soprattutto, che piace ai clienti e che gli fa avere una birra, due, tre, quattro… non si fermano alla prima.”

La produzione di Liquida si concentra su birre “fondamentalmente pulite e da bevuta”. Persino le DDH IPA sono concepite per essere “pulite quasi come una West Coast IPA”, offrendo l’impatto aromatico e il mouthfeel di una NEIPA ma con la bevibilità di una West Coast. Negli ultimi tempi, c’è stata una decisa virata verso il mondo lager, con una gamma che include Pils, Bock, Landbier e Czech Pilsner, garantendo rotazione e stagionalità senza mai compromettere la qualità. “Non abbiamo mai fissato una gamma fissa di birre,” precisa Luca, “e diamo sempre una rotazione… questo fa sì che non andiamo a snaturare quella che è la nostra essenza, che è il cambiamento, l’evoluzione continua e, soprattutto, la stagionalità dei prodotti. Appunto, l’essere liquidi.”

Il Progetto Eraclea: Qualità e Legame con il Territorio

L’adesione al “Progetto Eraclea” è stata una scelta naturale per Liquida. “Noi abbiamo sempre lavorato con malto Eraclea, tranne per qualche altra birra… penso che il 99% dell’orzo che usiamo è Eraclea,” afferma Luca, sottolineando la certezza della qualità del prodotto. La trasformazione dell’azienda in società agricola ha poi accentuato la necessità di una materia prima base autoprodotta, con uno standard elevato.

La vera fortuna? “Il progetto Eraclea nasce proprio nel Delta del Po, fondamentalmente l’orzo viene coltivato in quest’area. Noi ci siamo dentro, siamo a Ostellato… e quindi vi ho detto: perché no? Sarebbe veramente un’occasione per utilizzare finalmente un orzo coltivato localmente, seguito da noi.”

Ma cosa rende speciale questo malto? “È un malto un po’ più ricco, che dà una complessità maggiore, un sentore abbastanza intenso di miele, fieno,” descrive Luca. Si rivela ottimo come malto base per le IPA, conferendo struttura senza essere eccessivo, e “sulle lager è perfetto”. Un esempio su tutti: “Nella Bock è una figata, perché vai a enfatizzare… noi abbiamo centrato proprio il sapore del miele di castagno nella Bock con questo malto base.”

La sperimentazione è stata immediata: la prima birra realizzata con un’alta percentuale di Eraclea (80% Eraclea, 20% Premium Pils) ha dato ottimi risultati. E per il futuro? Luca ci svela un’anteprima per il Beer&Food Attraction del 2026: “La birra che andiamo a presentare sarà una Rauchbier chiara, quindi utilizzeremo come malto base solamente l’Eraclea e andremo ad arricchire con una percentuale di malto affumicato… Penso che su una Rauch l’Eraclea possa performare molto bene perché ha anche una parte bella salina, quindi con la parte affumicata si sposa molto bene.” Non vediamo l’ora!

Sostenibilità: Un Impegno Concreto dal Campo al Bicchiere

Un aspetto che ci ha colpito profondamente è l’impegno di Liquida verso la sostenibilità, un tema che Luca, con i suoi studi in Fisica Ambientale, sente particolarmente vicino. “Noi da quando abbiamo iniziato a pensare l’azienda, l’azienda era già pensata per diventare green,” dichiara con convinzione.

Le azioni concrete non mancano:

  • Energia: Installazione di 30 kW di impianto fotovoltaico.
  • CO2: Un impianto di recupero della CO2 dalla fermentazione e dagli svuotamenti dei fermentatori, riducendo al minimo l’acquisto di CO2 alimentare, spesso di origine fossile.
  • Economia Circolare: Collaborazione con un allevamento locale, a cui vengono conferite le trebbie (l’orzo di scarto). In cambio, il birrificio riceve letame per concimare i campi dove coltiva il proprio orzo, evitando l’uso di fertilizzanti chimici. “Apporti con sostanza organica, sostanzialmente,” precisa Luca.
  • Impatto Sociale: Collaborazione con i ragazzi del “Grew Lab” per l’inserimento lavorativo di persone con disabilità o difficoltà.
  • Filiera Corta: Spingere Liquida come “la birra della provincia di Ferrara”, per ridurre l’impatto dei trasporti. Utilizzo di fusti in acciaio per le forniture locali, abbattendo l’uso della plastica di quasi il 50%.
  • Impianti Personalizzati: Realizzazione diretta degli impianti spina per i clienti, per sostituire soluzioni industriali con maggiore impatto ambientale.

“Possiamo dire che letteralmente seguite la birra dal campo fino al bicchiere,” chiedo. “Sì, esattamente,” conferma Luca. Un impegno che coinvolge tutto il team di quattro persone, inclusa la moglie Eleonora. “Facciamo quello che pensiamo sia giusto fare per dare un futuro ecco all’azienda… e sarebbe bello poi dare un futuro anche a questo pianeta.”

Uno Sguardo al Futuro

L’intervista con Luca ci lascia con una sensazione di grande energia e ottimismo. Liquida non è solo un birrificio che produce birre di eccellenza, ma un progetto che incarna una visione moderna di fare impresa: dinamica, identitaria, profondamente legata al territorio e con un occhio di riguardo imprescindibile per la sostenibilità ambientale e sociale.

Mentre attendiamo con trepidazione di assaggiare quella Rauchbier chiara a base di Eraclea, non possiamo che brindare a Liquida, a Luca, a Eleonora e a tutto il team, e ai valori che portano avanti con tanta passione. Cin cin!

 

Meet the brewer: Luca Tassinati – Birrificio Liquida

🍻MEET THE BREWER🍻
Oggi siamo con il mastro birraio di @liquida_birrificioindipendente .

Luca ci racconta da dove nasce la sua passione per la birra dai primi passi nel mondo dell’home brewing alla nascita di Liquida.
🍻Una passione frutto di esperimenti nella cucina del ristorante di famiglia, lo sapevate?

✅L’intervista completa con Liquida uscirà nei prossimi giorni nel canale

Continua a seguirci!

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Eraclea Tips: Conosci il Malto Eraclea?

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Malto italiano d’eccellenza da cui prende il nome il nostro progetto, ideale perprodurre ITALIAN PILS e PALE.

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